Da giorni la pandemia ci costringe a stare lontani da amici, colleghi e familiari. La tecnologia, mai come adesso, ci viene in soccorso. I social network e soprattutto le piattaforme per meeting online si scoprono indispensabili strumenti per l’abbattimento delle distanze. Sono numerose le applicazioni che svolgono questa importante funzione sociale: WhatsApp, Facebook, Skype, Houseparty e Zoom sono soltanto alcune fra le tante.
Nel mondo del distanziamento sociale che si scopre sempre più smart e iper connesso, che immagine di noi consegnare alla webcam?
Lo abbiamo chiesto a fotoreporter, videomaker e registi che da anni lavorano con e per Renner.
FRANCESCO BELLINA: VIVA IL MINIMALISMO
Tra fotoreporter internazionali più influenti, ad appena trent’anni Francesco Bellina è stato segnalato due volte dal World Press Photo Joop Swart Masterclass. I suoi scatti vengono pubblicati ogni giorno su testate come The Guardian, Wall Street Journal, Le Monde, BuzzFeed, L’Espresso, Internazionale e The New York Times. Sensibile al tema dei migranti, è spesso in Africa a documentare la tratta di esseri umani e delle schiave sessuali. Tra un reportage e l’altro vive a Palermo. Nel 2017, in una rara puntata a nord, è stato in Renner per documentare dove nascono le vernici etiche.
Bellina, come vive i giorni della pandemia?
Continuo a lavorare, ovviamente limitando le uscite al minimo e indossando tutti i dispositivi di protezione individuale. Anche e soprattutto di questi tempi, metto a fuoco i temi che mi stanno a cuore: diritti umani, lavoratori, cura dei più deboli. Di recente ho visitato le tendopoli dei migranti e l’ospedale covid-19 di Catania.
Chi può, sta a casa e utilizza le videochiamate. Qualche consiglio da professionista?
Sarò scontato. Prima di tutto controlliamo che la fotocamera sia pulita. Molto spesso ci troviamo ad aggiustare la luce per ore dallo smartphone, inutilmente. In realtà basta semplicemente controllare che non ci siano polvere, umidità e aloni sull’obiettivo.
In secondo luogo, se siamo in un meeting di lavoro, non mettiamoci mai alle spalle luoghi o stanze fuori controllo. Non è fantastico osservare il transito di familiari e animali da compagnia, magari in situazioni non proprio composte.
Capitolo sfondo. Libreria, muro bianco o cosa?
Mi piacciono gli sfondi omogenei, anche se colorati, ma coerenti. Consiglio di evitare gli sfondi con “di tutto e di più” o con un particolare che calamiti l’attenzione dell’interlocutore, distogliendola da chi parla. Sì alle librerie ordinate, no a collage di quadri storti. Per le mie videochiamate utilizzo una fonte luminosa a 45 gradi (finestra o lampadina) e dietro un muro bianco. Less is more.
ANDREA PEDNA: LUCE PER LE EMOZIONI
Libero professionista e regista, Andrea è docente di video digitale all’ISIA di Faenza. Nell’ultimo anno ha curato il progetto internazionale di teatro di strada Mauerspringer. Per Renner ha curato (tra l’altro) nel 2011 il progetto World Wide e i tutorial della gamma Prestige di Rio Verde.
Pedna, come sta sfruttando la tecnologia delle videochiamate a livello professionale?
In questi giorni mi ritrovo a fare lezione online e molto spesso trovo allievi che danno le spalle alla finestra. Vado controcorrente: non c’è nulla di più sbagliato! La webcam ha il controllo del diaframma in automatico, quindi l’interlocutore in controluce appare quasi come un semi-dio avvolto nella sua penombra di magnificenza. Il viso nascosto in ombra invece racchiude in sé il segnale implicito di non apertura e non ascolto.
O magari è solo timidezza. A volte capita anche di vedere il viso della persona con cui si parla coperto di macchie bianche.
Quando la luce è troppo forte sul viso, si creano aree “bruciate”, dovute alla sovraesposizione. Le webcam non sfocano, quindi è bene utilizzare in modo adeguato le luci delle nostre stanze. Prima di tutto, la luce frontale non deve essere troppo forte, mentre lo sfondo deve essere illuminato meno. In questo modo, la webcam inquadra meglio il viso, messo in risalto da uno sfondo scuro. Purtroppo la gente non ci pensa, ma la luce comunica diverse emozioni. Se si tratta di una luce calda e soffusa, l’interlocutore percepirà calore dalla nostra videochiamata. In caso invece di luci a neon molto forti, l’effetto che daremo sarà disarmante, non producendo quindi voglia di continuare la conversazione con noi.
In una banale videochiamata quindi non passano soltanto le nostre parole, ma anche altri messaggi impliciti.
Certamente. Non bisogna mai sottovalutare l’inquadratura perché trasmette emozioni. E la videochiamata stessa rappresenta anche il nostro stato d’animo attuale.
Consiglio vivamente di non effettuare videochiamate con lo sfondo subito dietro di noi: un muro o una libreria vicina alle nostre spalle, trasmettono lo stesso disagio che ha voluto rappresentare il grande regista Murnau con il suo Frankenstein. In questo momento sicuramente la gente non ha bisogno di inquietudine. Per questo, meglio avere lo sfondo almeno a due metri di distanza.
RODOLFO GIULIANI: EVITARE IL MAL DI MARE
Fotografo professionista, vive e lavora a Bologna. Lavora da 15 anni con La Repubblica, Il Resto del Carlino, L’Espresso, Panorama. Attualmente si sta concentrando sulla comunicazione di grandi aziende. Per Renner cura da sempre la documentazione degli eventi.
Giuliani, meglio avviare la cam davanti a una finestra o a una lampada?
Luce naturale. Sempre meglio mettersi di fronte a una finestra. Le altre fonti di luce artificiale possono dare tonalità variabili al nostro viso: si può passare dal giallo dovuto alle lampade da tavolo a sfumature verdi causate dal neon. Ovviamente è possibile bilanciare il colore sullo smartphone, però realisticamente chi ne ha cura? Nel caso in cui non si possa fare a meno della luce artificiale, è consigliabile posizionare la lampada da tavolo in posizione frontale e leggermente verso l’alto, per evitare ombre poco piacevoli.
Altre dritte?
Prima di tutto, appoggiamo il telefono su un supporto stabile in modo che l’immagine risulti ferma: evitiamo di tenerlo in mano provocando il mal di mare all’interlocutore.
Il mio consiglio è anche di tenere il telefono in orizzontale per un’inquadratura 16:9. Il formato migliore. Evitiamo le librerie o gli scaffali pieni di raccoglitori in disordine o monotoni. Inoltre è sempre meglio apparire da metà busto in su, senza esagerare con inquadrature eccessivamente larghe.
DANIELE AMENDOLA: LO SFONDO PARLA DI NOI
Film-maker per grandi aziende, spazia dall’automotive al discografico, dal farmaceutico alla distillazione. Per Renner cura progetti come il corporate Color Tunes e lo spot Pure.
Amendola, cosa accomuna il popolo delle cam nell’era del covid-19?
A prescindere dal contesto, sia esso lavorativo o informale, la gente tende a selezionare sempre uno sfondo che ne rappresenti valori e interessi. Se in webcam incontriamo un calciatore, ad esempio, alle sue spalle vedremo i premi vinti durante la sua carriera; un fotografo avrà dietro di sé la sua attrezzatura da lavoro, mentre un ingegnere una libreria con riviste di settore e il suo computer all’interno dell’inquadratura. Lo sfondo che vediamo contestualizza il soggetto.
Può svelarci qualche trucco del mestiere?
Se stiamo parlando di fronte a persone per le quali vogliamo darci un tono, è meglio tenere il telefonino o la webcam inclinata dal basso verso l’alto. Invece, se stiamo avendo una conversazione con amici o persone che conosciamo abbastanza bene, evitiamo gli hero-shots, ossia le inquadrature dal basso. È da preferire invece posizionare lo smartphone centralmente su un supporto, in una stanza piena di luce proveniente da finestre o lucernai.
Youtuber e blogger usano la videocamera proprio per catturare like e follower. Come fanno a essere così bravi?
I primi usano una telecamera fissa con un rig di luce, per essere direttamente illuminati (e nascondere imperfezioni o rughe, come molto spesso si fa nelle riprese televisive).
I secondi invece usano sempre due camere per riprendersi in modo da non dare troppa continuità e non annoiare chi li segue.
MASSIMO PAOLONE: IL TERMOSIFONE ANCHE NO
Fotogiornalista specializzato nella copertura di eventi sportivi, come il ciclismo e la serie A calcistica, per l’agenzia LaPresse. Originario di Pescara, vive a Bologna, ma fa questo lavoro in giro per l’Italia e per il mondo, arricchendo con le sue foto testate giornalistiche come la Repubblica, La Gazzetta dello Sport, il Corriere della Sera, il Corriere dello Sport e Sportweek. Per Renner cura insieme a Rodolfo Giuliani gli eventi aziendali.
Paolone, come sta vivendo questa emergenza?
Inizialmente sono rimasto bloccato negli Emirati Arabi, mentre stavo documentando l’UAE Tour (ciclismo, ndc). Il viaggio di ritorno è stato un incubo. Una volta tornato in Italia, mi sono dedicato a rappresentare la situazione di emergenza, anche se nei confronti di un fotografo che gira per le città vedo molto scetticismo. Una mia foto che rappresenta Bologna deserta è stata pubblicata sul Guardian, dato che all’estero si focalizzano molto sulla situazione italiana.
Nell’era delle webconference, qual è l’errore ricorrente?
La sindrome del muro vuoto. Spesso capita di essere totalmente fuori campo. L’interlocutore che vede un muro vuoto o, peggio, il termosifone non vede l’ora di svignarsela. Molto spesso si trovano anche i narcisisti che non fanno altro che guardare loro stessi. Ma la webcam no è uno specchio, e chi è dall’altro lato non gradisce.
I suoi suggerimenti?
Cercare il contatto visivo con gli interlocutori e mantenere le condizioni di silenzio di fondo.