Renner Italia è nominata impresa dell’anno 2024/2025 da uno dei più longevi, diffusi e autorevoli magazine nazionali: il Venerdì di Repubblica. Il servizio di Natascia Ronchetti.
Qui dentro ne facciamo di tutti i colori
Settimana corta, quattordicesima, case agli stranieri neo-assunti. Alla Renner, leader nelle vernici da legno, export in 27 Paesi, regna il verbo includere. Anche se tutto ebbe inizio con un licenziamento.
di Natascia Ronchetti foto di Danilo Garcia Di Meo
MINERBIO (Bologna). La maggior parte delle aziende nasce da una intuizione, o da una invenzione. Renner è nata da una ingiustizia. «Ancora adesso, a volte, un po’ mi brucia», dice l’amministratore delegato Lindo Aldrovandi. Era il 2003 e la multinazionale americana che controllava un’impresa di vernici del Bolognese – da lui amministrata e dove aveva iniziato la carriera come tuttofare – lo licenzia in tronco: non gradiva che esprimesse il suo parere, nel consiglio di amministrazione, sulle decisioni della casa madre. Da allora Aldrovandi, da quando ha fondato Renner, anche grazie ai capitali della casa madre brasiliana, ha due ferree convinzioni. Primo: un’azienda è una comunità la cui gestione deve essere aperta alla compartecipazione dei dipendenti. Secondo: non deve mai riprodurre il modello spesso standardizzato delle multinazionali. Ogni scelta fatta da Aldrovandi per il benessere dei lavora-tori, negli ultimi ventuno anni, discende da lì, da quel licenziamento. «Perché se tratti le persone come numeri prima poi inizieranno a comportarsi come se davvero fossero soltanto numeri».
27 MILIONI DI UTILI
Renner produce vernici per il legno a Minerbio, comune di novemila abitanti nella pianura della provincia di Bologna, a mezz’ora di auto dal capoluogo. Qui dispone di due stabilimenti per un totale di quasi 100 mila metri quadrati produttivi. Ha filiali in Spagna, Ungheria, Regno Unito, Francia, Polonia e India, un fatturato previsto quest’anno di 184 milioni, dei quali 27 di utile netto. All’ingresso di una delle due fabbriche ti accoglie un grande murale con la scritta “Venti”. È stato realizzato nel 2023, in occasione del ventesimo compleanno dell’azienda, con le foto dei suoi 390 dipendenti. Mancava ancora, Suleyman, quasi 19 anni, arrivato dal Gambia quando era ancora minorenne, avventurandosi “sulla strada”, come tanti africani che cercano una vita in Europa chiamano il percorso che li porta fin qua: il deserto del Sahara, pigiato insieme ad altri su un pick-up, di notte; la Libia, dove è stato incarcerato e picchiato; la traversata del Mediterraneo e lo sbarco a Lampedusa dopo tre giorni di navigazione per i quali gli scafisti gli hanno chiesto 900 euro. Suleyman è stato assunto alla Renner pochi mesi fa. Adesso abita in una comunità di accoglienza. Ma fra breve potrà prendere possesso di uno degli alloggi che Aldrovandi ha messo a disposizione. In tutto sono otto, ricavati con la ristrutturazione di un fabbricato, dietro a una delle due fabbriche: un investi-mento di 250 mila euro.
A breve alla Renner saranno assunti, e gli verrà dato un alloggio, altri due giovani immigrati provenienti dalla Nigeria e dalla Guinea. Poi avanti così: ne arriveranno altri. Un progetto che Renner sta realizzando insieme al Cnos-Fap, il centro di formazione professionale dell’Opera Salesiana di San Lazzaro di Savena, sempre nel Bolognese, dove Suleyman ha frequentato un corso di verniciatura.
Aldrovandi e Carlo Caleffi, direttore del Cnos-Fap, ora stanno discutendo del canone simbolico da chiedere ai giovani lavoratori immigrati. «Pensavamo cento o duecento euro al mese, che Renner non tratterrà, ma girerà al centro di formazione per erogare borse di studio agli altri ragazzi». Suleyman non vuole ricordare ciò che l’ha portato sin qui: troppo doloroso. «Adesso sto bene. L’Italia è un bel Paese. E, ogni tanto, riesco anche a mandare un po’ di soldi a mia nonna, era con lei che abitavo in Gambia». Su di lui vigila il capo reparto Pape Ndiaye, senegalese, responsabile della sicurezza. E si capisce il significato del murale di 142 metri quadrati realizzato da Laika, la street artist senza volto, pasionaria dei diritti umani e della guerra al razzismo, che per la prima volta ha voluto lasciare traccia di sè sul muro di un’azienda privata: un omaggio all’impegno per l’inclusione dei migranti.
LA PAROLA MAGICA
Alla Renner è inclusione la parola magica: «Noi non parliamo di integrazione ma di inclusione» ci dice Caleffi «perché non possiamo trattare le persone che arrivano da altri Paesi come se avessero il nostro stesso background». «L’immigrazione non è una emergenza ma una risorsa e una opportunità» spiega a sua volta Aldrovandi: «Trovare operai italiani è sempre più difficile, come ha rilevato anche il Centro studi di Confindustria. E d’altro canto ci sono persone che fuggono da guerra e povertà: noi abbiamo fatto semplicemente due più due».
Oggi alla Renner i dipendenti stranieri sono circa il 7 per cento. E il progetto di inclusione è solo una delle tante tappe di un piano al quale Aldrovandi ha cominciato a dare forma nel-la veranda di casa, insieme ad altri tre ex dipendenti di Sayerlack, che lo avevano seguito dopo il licenziamento. «Renner è nata proprio così, redigendo la stesura del portafoglio prodotti, decidendo quali macchine acquistare: abbiamo iniziato con un tavolino da picnic e tre sedie», ricorda Alessandro Nanni, che oggi è responsabile dell’ufficio acquisti dell’azienda. Tutto grazie al finanziamento delle famiglie a cui fa capo la Renner di San Paolo, in Brasile, tuttora casa madre, che ad Aldrovandi (ingegnere) ha sempre dato carta bianca. Nel tempo, altri settanta operai lo hanno seguito. Lui è uno che a 72 anni appena può inforca la bicicletta. E che ha fatto del ciclismo una metafora per spiegare la sua idea di azienda: «Se vuoi andare in bicicletta devi allenarti, e io mi sono sempre allenato ad alzare l’asticella». A modo suo, però. Cercando di migliorare al massimo le condizioni di lavoro dei suoi collaboratori.
I GUADAGNI DIVISI
Nel 2011 decise la compartecipazione agli utili dei dipendenti, che già possono usufruire di 14 mensilità – nonostante il contratto nazionale dei chimici ne preveda 13. Decisione che ha permesso da allora a ciascun operaio e impiegato di percepire in tutto, oltre alla retribuzione, altri 32 mila euro. Ha agganciato il sistema di welfare aziendale all’inflazione e ha aumentato i buoni pasto. Poi ha inaugurato la settimana corta (il venerdì si lavora soltanto mezza giornata) a parità di stipendio e senza toccare il monte ferie. Ha anche previsto un bonus di 200 euro, che si aggiunge agli straordinari, per chi, su base volontaria, decide di lavorare anche il sabato. Tutti alla Renner gli danno del tu. «Il rapporto umano è fondamentale. A volte capita di discutere, ma lo facciamo sempre per migliorarci», spiega il direttore dello stabilimento, Giovanni Mazzoni, uno di quelli che l’hanno seguito nell’avventura.
Adesso Renner, che a Minerbio ha investito quasi 370 mila euro per sostenere progetti di solidarietà e attività sportive e culturali, è la prima in Italia nel settore delle vernici per il legno ed esporta i due terzi della produzione in 27 Paesi. Forse sarà per questo che ad Aldrovandi le crisi non fanno paura. «Anzi: scremano, facendo emergere le imprese con una visione di lungo periodo e un progetto forte. Io un olivettiano? Il paragone è forte, non spetta a me dirlo. Adesso penso al progetto rivolto ai giovani immigrati. Poi passerò ad un altro piano che mi sta a cuore: l’asilo nido per i figli dei dipendenti. Spesso penso all’ingiustizia subita da quella multinazionale. Ma in realtà ora provo quasi gratitudine. Se non ne fossi stato una vittima, non ci sarebbe la Renner».